QUELLA POLITICA ESTERA TUTTA FUORI DAL CORO
ROMA – Bettino Craxi e il suo braccio destro Gennaro Acquaviva ebbero a scambiarsi uno sguardo tra lo stupito e il compassionevole nel momento in cui – siamo a metà degli anni ’80 – il costruttore milanese “amico” che veniva spesso a trovarli a Roma per presentare gli ambiziosi programmi delle nuove tv commerciali destinate a rompere il monopolio della Rai, confessò il suo sogno segreto: diventare un giorno ministro degli Esteri. Poi, nel gennaio 2002, quando Berlusconi diventò veramente responsabile della Farnesina ad interim dopo le polemiche dimissioni di Renato Ruggiero, Craxi era già morto da due anni.
Nonostante tanti sogni nel cassetto la dimensione mondiale della politica, ossia una visione che spaziasse ben oltre Milano 2 e Segrate restava fino ad allora confinata nelle esperienze giovanili di intrattenitore musicale con Fedele Confalonieri sulle navi da crociera o nei viaggi lampo a Parigi, Madrid o Berlino per gli accordi destinati ad allargare l’impero televisivo. Durante un viaggio in Giappone Berlusconi restò così profondamente ammirato dalla pulizia di Tokio che al ritorno in Patria lanciò un programma contro le scritte sui muri.
All’inizio le dinamiche che muovevano le Cancellerie e le opinioni pubbliche internazionali venivano vissute come un mondo sconosciuto, a tratti minaccioso. Come dimenticare, poco dopo la discesa in campo, quell’invito a comparire da parte della Procura di Milano, il 22 novembre del ’94 per l’inchiesta Telepiù annunciato dal Corriere della Sera in anteprima mentre a Napoli Berlusconi da presidente del consiglio presiedeva una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata qualche mese dopo il G7 da lui presieduto e che lo aveva visto fianco a fianco tra i grandi della Terra a cominciare dal presidente americano, Bill Clinton. Se il G7 era stato un successo per il neo-premier, quell’invito a comparire (erroneamente interpretato come avviso di garanzia) farà subito il giro del mondo e contribuirà, di lì a qualche mese, alla caduta del Governo anche se la causa scatenante andrà imputata alla mancata riforma delle pensioni.
Nei sei anni di “traversata nel deserto” da parlamentare europeo, Berlusconi comincia a capire da vicino i complessi meccanismi e certi riti di iniziazione della politica internazionale. Più di lui li conosce il suo braccio destro, Gianni Letta. Così, quando in occasione delle elezioni del giugno 2001, il settimanale Economist pubblica la copertina dedicata a colui che tutti i sondaggi danno ormai per vincente e nuovo premier definendolo “unfit to lead Italy” è lo stesso Letta che comprende i pericoli che proprio dall’estero potrebbero mettere in seria difficoltà il nuovo esecutivo e corre ai ripari. Contatta un diplomatico di grande esperienza come Renato Ruggiero, già ministro del Commercio estero nei Governi Goria, De Mita e Andreotti, primo direttore del Wto, presidente Eni, ambasciatore della Fiat e banchiere del gruppo Citibank. Il definitivo “sigillo” alla candidatura Ruggiero come ministro degli Esteri arriva direttamente da Agnelli ed Henry Kissinger che per la prima volta varcano il portone di Palazzo Grazioli nel giugno 2001.
Sono mesi difficili. Nel luglio 2001 la morte di un manifestante al G7 di Genova e gli episodi di abusi e torture riportano il Governo Berlusconi sul banco degli imputati in tutto il mondo. Ma a cambiare davvero la storia interviene l’11 settembre e l’attacco di Al Qaeda alle torri gemelle. Berlusconi non appare però così rapido nei messaggi di vicinanza e solidarietà a George W. Bush. Non è neppure tra i primi leader europei a giungere negli Usa. Ci penserà Ruggiero che in novembre parteciperà all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Passano mesi in cui Ruggiero si sente sotto attacco da parte di Tremonti e Bossi. Poi nel gennaio del 2002, in coincidenza con l’adozione da parte dell’Italia dell’Euro, Ruggiero si dimette per la grande freddezza del Governo sui temi europei.
Comincia così l’interim di un anno di Berlusconi come ministro degli Esteri. Delle gaffes, dei siparietti più o meno folkloristici diremo dopo. Per ora meglio concentrarsi su come il “cavaliere” interpreta da lì in poi la tutela dell’interesse nazionale di una media potenza come l’Italia dopo il criollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Un ruolo tutt’altro che marginale va riconosciuto all’ex ministro degli Esteri, Gianni De Michelis e a Giuliano Ferrara ministro dei rapporti col Parlamento che lo convincono sulla necessità di cambiare passo. Non è più il tempo, secondo loro, di accodarsi al motore franco-tedesco, di svolgere un ruolo marginale nell’architettura europea ma di giocare in piena autonomia pur tenendo fede ai due pilastri della politica estera italiana, europeismo ed atlantismo. Non si fa quindi scrupolo, Berlusconi, di rompere la solidarietà europea partecipando alla coalizione guidata da Usa e Regno Unito per l’intervento antiterrorismo in Iraq che vedeva assenti Francia e Germania. Salvo poi qualche ripensamento dopo la strage di Nassyria.
Così come in politica interna il “miracolo” della coalizione vincente di centro-destra si reggeva sui voti del Nord della Lega e quelli del Sud di An anche in politica estera Berlusconi coltivava l’ambizione di sanare vecchie ferite del passato ed essere amico di tutti. In parte ci riesce mettendo allo stesso tavolo Putin e Bush a Pratica di mare. Abbraccia Arafat ma tiene rapporti strettissimi con l’israeliano Netanyahu e col turco Erdogan. Vengono archiviati i rapporti preferenziali filo-arabi della prima Repubblica, mette in pensione il “patto col diavolo” che fino a un certo punto, con il “lodo Moro”, aveva messo al riparo l’Italia dagli attentati terroristici. Viene inaugurata così la politica dei rapporti personali, fatta di pacche sulle spalle, incontri informali, cene, regali, vacanze in Sardegna. Niente di più lontano dalla politica estera paludata degli Andreotti e Colombo.
Complice anche l’aiuto determinante del suo braccio destro, il poliglotta Valentino Valentini (oggi viceministro del Made in Italy) con George W. Bush, presidente americano tra il 2001 e il 2009, e Vladimir Putin, presidente della Russia nel 1999 Berlusconi trova le corde giuste per rapporti a dir poco “esclusivi”. Chiude il cerchio nel 2009 con il G8 dell’Aquila dove accoglie Obama tra le macerie del terremoto. Anche con il leader libico Gheddafi il rapporto è stretto, concede che venga issata per lui una tende berbera a Villa Pamphili a Roma e chiude un accordo storico per sanare i vecchi danni di guerra con la costruzione di un’autostrada costiera da 5 miliardi di dollari. Quando poi la cancelliera tedesca Merkel nel 2011 gli chiede di intervenire sul rais per evitare che situazione precipiti risponde pilatescamente: “sic transit gloria mundi”.
La crisi dei mutui sub prime nel 2008 cambia il clima dell’economia mondiale ma soprattutto l’attacco dei mercati al debito italiano con lo spread schizzato a 500 punti e le dimissioni al grido di “buffone, buffone” (la nuova versione delle monetine del Raphael) segnano l’uscita di scena di Berlusconi che tuttavia, dopo le inchieste e le condanne ai servizi speciali lo rivedono ancora al Senato per l’ultimo atto della sua lunga stagione politica.
Solo peccati veniali, alla fine, i due “no show” inflitti all’imperatore del Giappone, lo strappo al protocollo cinese che aveva predisposto una visita esclusiva alla città proibita di Pechino per accettare l’invito a mangiare la pizza da un ristoratore brianzolo di Pechino. Solo alzate di sopracciglio per il famoso “Obama abbronzato” pronunciato al Cremlino, la bandana con Tony Blair a Porto Rotondo, le reprimende della Regina Elisabetta al G20 di Londra per le intemperanze a una foto di famiglia per attirare l’attenzione di Obama. Sorrisi di circostanza (come quelli di Merkel e Sarkozy) per le corna al vertice europeo in Spagna del 2002 o per il cucù alla Merkel a Trieste nel 2008 e poi i ritardi al vertice di Khiel nel 2009 incollato per lunghi minuti al cellulare.
In conclusione, così come probabilmente avverrà per la politica interna, anche per la politica estera la “legacy” di Berlusconi costruita in tutti questi anni tra gaffes e ambizioni un pò velleitarie potrebbe restare un unicum. Senza alcun erede all’orizzonte.