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DRAGHI A STRASBURGO: DALLA GUERRA SLANCIO A FEDERALISMO PRAGMATICO

STRASBURGO – La guerra in Ucraina potrebbe cambiare il volto istituzionale dell’Europa. Questo, almeno, è quanto si augura il presidente del Consiglio Mario Draghi oggi intervenuto al Parlamento europeo di Strasburgo. La guerra in Ucraina, ha detto Draghi ai parlamentari europei ” pone l’Unione Europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia. Una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica. E che avviene mentre i nostri Paesi sono ancora alle prese con le conseguenze della maggiore emergenza sanitaria degli ultimi cento anni” .

La risposta europea alla pandemia è stata unitaria, coraggiosa, efficace ed ora, dice il premier italiano, “la stessa prontezza e determinazione, lo stesso spirito di solidarietà, ci devono guidare nelle sfide che abbiamo davanti oggi”

Le istituzioni che i nostri predecessori hanno costruito negli scorsi decenni, ha ricostruito Draghi, “hanno servito bene i cittadini europei, ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi davanti. La pandemia e la guerra hanno chiamato le istituzioni europee a responsabilità mai assunte fino ad ora. Il quadro geopolitico è in rapida e profonda trasformazione. Dobbiamo muoverci con la massima celerità. E dobbiamo assicurarci che la gestione delle crisi che viviamo non ci porti al punto di partenza, ma permetta una transizione verso un modello economico e sociale più giusto e più sostenibile.”

Ecco perché, secondo il premier italiano “abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia”.

Infatti, aggiunge Draghi, se dagli eventi tragici di questi anni sapremo trarre la forza di fare un passo avanti, se sapremo immaginare un funzionamento più efficiente delle istituzioni europee che permetta di trovare soluzioni tempestive ai problemi dei cittadini; allora potremo consegnare loro un’Europa in cui potranno riconoscersi con orgoglio”.

L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia – è il ragionamento del presidente del Consiglio – ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Unione Europea: la pace nel nostro continente.

Una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica;
sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle controversie tra Stati; sul rispetto dei diritti umani, oltraggiati a Mariupol, a Bucha, e in tutti i luoghi in cui si è scatenata la violenza dell’esercito russo nei confronti di civili inermi.

Dobbiamo sostenere l’Ucraina, il suo governo e il suo popolo, come il Presidente Zelensky ha chiesto e continua a chiedere di fare. In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. Vogliamo che l’Ucraina resti un Paese libero, democratico, sovrano. Proteggere l’Ucraina vuol dire proteggere noi stessi e il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito insieme negli ultimi settant’anni.

E aiutare l’Ucraina, dice Draghi, “vuol dire soprattutto lavorare per la pace. La nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco, per salvare vite e consentire quegli interventi umanitari a favore dei civili che oggi sono molto difficili. Una tregua darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati.”

L’Europa, aggiunge Draghi , “può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo. Dobbiamo farlo per via della nostra geografia, che ci colloca accanto a questa guerra, e dunque in prima linea nell’affrontare tutte le sue possibili conseguenze.

Dobbiamo farlo per via della nostra storia, che ci ha mostrato capaci di costruire una pace stabile e duratura, anche dopo conflitti sanguinosi.

L’Italia, come Paese fondatore dell’Unione Europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica”.

La guerra sta avendo effetti diretti sull’economia e sulle nostre vite.
Dall’inizio del conflitto, circa 5,3 milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina verso l’Unione europea – soprattutto donne e bambini. E’ più del doppio del numero di rifugiati presenti nell’Unione alla fine del 2020 – circa 2,5 milioni.

L’Italia ha accolto oltre 105.000 rifugiati ucraini. Altri Paesi – tra cui Polonia, Romania, Germania, Slovacchia – hanno fatto sforzi ancora maggiori.

Molti rifugiati vogliono ritornare presto a casa e alcuni hanno già iniziato a farlo.
Tuttavia, non sappiamo in che modo evolverà il conflitto, né quanto durerà.

Dal punto di vista economico, il conflitto ha causato instabilità nel funzionamento delle catene di approvvigionamento globali e volatilità nel prezzo delle materie prime e dell’energia.
Le forniture alimentari ucraine sono crollate a causa delle devastazioni della guerra e dei blocchi alle esportazioni imposti dalla Russia nei porti del Mar Nero e del Mar d’Azov.

L’Ucraina è il quarto maggiore fornitore estero di cibo nell’Unione Europea – ci invia circa metà delle nostre importazioni di granoturco, e un quarto dei nostri oli vegetali.
Russia e Ucraina contano per oltre un quarto delle esportazioni globali di grano.

Quasi 50 Paesi del mondo dipendono da loro per più del 30% delle proprie importazioni.
A marzo, i prezzi dei cereali e delle principali derrate alimentari hanno toccato i massimi storici.

C’è un forte rischio che l’aumento dei prezzi, insieme alla minore disponibilità di fertilizzanti, produca crisi alimentari.
Secondo la FAO, 13 milioni di persone in più potrebbero soffrire la fame tra il 2022 e il 2026 a causa della guerra in Ucraina.
Molti Paesi, soprattutto dell’Africa e del Medio Oriente, sono più vulnerabili a questi rischi e potrebbero vivere periodi di instabilità politica e sociale.

Per quanto riguarda l’energia, il prezzo del greggio, che tra dicembre e gennaio oscillava tra i 70 e i 90 dollari al barile, si aggira oggi intorno ai 105 dollari, dopo un picco di 130 dollari a marzo.

Il prezzo del gas sul mercato europeo è intorno ai 100 euro per megawattora – circa cinque volte quello di un anno fa.
Questi aumenti – che seguono i rincari che si osservavano già prima dell’inizio del conflitto – hanno spinto il tasso d’inflazione su livelli che non si vedevano da decenni.

Nell’eurozona, l’indice dei prezzi è cresciuto del 7,5% ad aprile rispetto a un anno fa, e rischia di avere un impatto significativo sul potere d’acquisto delle famiglie e sui livelli di produzione delle imprese.

L’economia europea è in una fase di rallentamento: nei primi tre mesi del 2022, il prodotto interno lordo nella zona euro è cresciuto dello 0,2% rispetto al quarto trimestre del 2021.
Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’Unione Europea crescerà quest’anno del 2,9%, rispetto al 4% stimato pochi mesi fa.

Ciascuna di queste crisi, ha detto Draghi, “ichiederebbe una reazione forte da parte dell’Unione Europea. La loro somma ci impone un’accelerazione decisa nel processo di integrazione.
Nei prossimi mesi dobbiamo mostrare ai cittadini europei che siamo in grado di guidare un’Europa all’altezza dei suoi valori, della sua storia, del suo ruolo nel mondo.
Un’Europa più forte, coesa, sovrana – capace di prendere il futuro nelle proprie mani”.

Il 9 maggio , ha poi detto Draghi, si conclude la Conferenza sul Futuro dell’Europa e la Dichiarazione finale ci chiede di essere molto ambiziosi.


“Vogliamo essere in prima linea per disegnare la nuova Europa. In un quadro geopolitico divenuto improvvisamente molto più pericoloso e incerto, dobbiamo affrontare l’emergenza economica e sociale e garantire la sicurezza dei nostri cittadini Gli investimenti nella difesa devono essere fatti nell’ottica di un miglioramento delle nostre capacità collettive – come Unione Europea e come Nato. L’ultimo Consiglio Europeo ha preso una decisione importante con l’approvazione della “Bussola Strategica”, che dobbiamo attuare con rapidità.
Occorre però andare velocemente oltre questi primi passi e convocare una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti.
Inoltre, la costruzione di una difesa comune deve accompagnarsi a una politica estera unitaria, e a meccanismi decisionali efficaci.
Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata.
Un’Europa capace di decidere in modo tempestivo, è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo.

Una prima accelerazione deve riguardare il processo di allargamento.
La piena integrazione dei Paesi che manifestano aspirazioni europee non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo ma e’ parte della sua realizzazione.
L’Italia , ha ricordato Draghi, sostiene l’apertura immediata dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord, in linea con la decisione assunta dal Consiglio Europeo nel marzo 2020. Vogliamo dare nuovo slancio ai negoziati con Serbia e Montenegro, e assicurare la massima attenzione alle legittime aspettative di Bosnia Erzegovina e Kosovo.

Siamo favorevoli all’ingresso di tutti questi Paesi e vogliamo l’Ucraina nell’Unione Europea. Dobbiamo seguire il percorso d’ingresso che abbiamo disegnato, ma dobbiamo anche procedere il più speditamente possibile.

“I padri dell’Europa – ha concluso Draghi- ci hanno mostrato come rendere efficace la democrazia nel nostro continente nelle sue progressive trasformazioni.
L’integrazione europea è l’alleato migliore che abbiamo per affrontare le sfide che la storia ci pone davanti.
Oggi, come in tutti gli snodi decisivi dal dopoguerra in poi, servono determinazione, visione, unità”.

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